giovedì 31 dicembre 2009

I roccocò


Oltre agli struffoli, ai mustaccioli, ai susamielli e quant'altro, tra i dolci tipici del natale napoletano troviamo i roccocò: un dolce adatto a chi ha denti forti e sani! Come già vi ho descritto nelle altre ricette della tradizione, presenti nel mio blog, anche questo dolce trae le sue origini dalle variegate culture che si sono avvicendate nel corso dei secoli, in questo caso l'influenza è stata francese e spagnola. La parola è  appunto di origine dal francese: "rocaille" per la barocca e tondeggiante forma che ricorda una conchiglia. Il dolce cotto ha una consistenza tale da assomigliare ad una roccia, da qui l'etimologia della parola "Roccia Artificiale", le mandorle bianche poi danno l'idea del marmo. Questi biscotti sono molto aromatici, l'odore che se ne diffonde in cottura nelle case e lungo le strade nel periodo natalizio è inconfondibile e trasporta in un attimo nella magia del Natale.


Ingredienti
1/5 Kg di farina
1/2 Kg di zucchero
cacao a piacere
 (serve a dare il classico colore scuro al biscotto)
una bustina di cannella
una bustina di vanillina
un pizzico di sale
3 o 4 bucce di mandarini tritate
una buccia di arancia grattata
300 gr di mandorle sgusciate ed a pezzi grossi (meglio ancora se tagliate a metà)
3 gr di ammoniaca (oppure 1 cucchiaino di lievito)
1/4 di acqua circa (la consistenza dell'impasto deve essere come quella per i cantucci)
tuorlo d'uovo


Amalgamate tutti gli ingredienti (tranne il tuorlo d'uovo) aggiungendo l'ammoniaca in ultimo e poi formate tanti taralli che sistemerete sulla placca del forno (unta con la sugna oppure rivestita di carta da forno) un pò distanziati l'uno dall'altro. 

Battete leggermente il tuorlo d'uovo e stendetelo per bene, aiutandovi con le mani, sui roccocò. Infornate a circa 180° per 20/30 min.
Se volete conservarli per tanto tempo, una volta cotti rimetteteli in forno a 50° per almeno 1 ora.
Il roccocò, di estrema bontà e durezza può essere inzuppato nel marsala all'uovo, nello spumante o nei vini dolci da pasto.
Aforisma di proverbio napoletano:" 'e voglia 'e mettere rum, chi nasce strunz' nun pò addiventà babbà" (Chi nasce tondo non può morire quadrato).

mercoledì 30 dicembre 2009

Gli struffoli della nonna


Non velocissimo da preparare ma molto semplice da realizzare, è un tipico dolce natalizio napoletano nato, credo  nel XVII sec., nelle cucine dei monasteri femminili delle monache della Croce di Lucca. Le monache conducevano una chiesa ed un Conservatorio per orfane e povere bisognose. Esse divennero famose, oltre che per la loro opera, anche per gli squisiti dolci natalizi e pasquali che erano solite offrire e vendere ai visitatori per il sostentamento delle loro favorite.
Questo antichissimo dolce, il cui nome sembra che provenga dal greco "strongulous" = "corpo tondeggiante", a Napoli viene preparato sempre in abbondanza in quanto vi è l'usanza di regalarne vassoi ad amici e parenti.
Sentendomi particolarmente buona durante queste sante feste, vi farò un grosso regalo: pur essendo molto gelosa, vi svelerò questa ricetta di famiglia, giunta ormai alla terza generazione, ricca di trucchi e particolari per una realizzazione del dolce che spero piacerà anche a chi non vi è avvezzo.
Ingredienti
3 uova intere più un rosso
1/2 dl di olio evo
1 limone
sale
farina che assorbe (circa 400 gr.)
250 gr di miele (circa)
4 - 5 cucchiai di zucchero
confetti: diavoletti, cannellini, argentati
frutta candita: cedro, arancia e cocozzata (parola napoletana che deriva dal latino e che vuol dire zucca)
Nella ricetta degli struffoli NON si usa assolutamente lievito o bicarbonato (ne cambierebbe il sapore e la consistenza), .... so che alcuni lo fanno per rendere più morbide le palline.... ma credetemi: non ce n' è bisogno!! Inoltre la ricetta originale non lo prevede.


Procedimento
Impastate la farina con le uova, l'olio, la buccia grattata del limone, un pizzico di sale e la farina che occorre ad ottenere un panetto sodo che si stacca bene dalle mani. 

Lasciate riposare l'impasto una mezz'oretta e poi ricavatene dei cordoncini più sottili del vostro dito mignolo e tagliate e tocchettini piccoli.

 Mi raccomando fateli piccoli perchè poi gonfieranno in cottura. Friggeteli, pochi per volta, in un mix di olio di arachidi ed olio evo (meglio sarebbe utilizzare tutto olio evo). 

L'olio deve essere ben caldo e profondo, gli struffoli saranno cotti quando assumeranno un bel colore dorato. Tirateli su con la schiumarola e metteteli a scolare su carta assorbente.

 Una volta freddi, potete conservarli e continuare la preparazione il giorno dopo oppure procedere. Preparate il vassoio degli struffoli in questo modo: tagliate a metà il limone che avevate in precedenza grattato, strofinatelo sul vassoio

 e lasciatelo al centro di esso. In una casseruola alta e capiente scaldate il miele con un cucchiaio di acqua e 3 - 4 di zucchero fino a quando vedrete produrre della schiuma (attenzione a non esagerare ed a non far bruciare il miele altrimenti diventerà amaro). 

Versate nel miele gli struffoli e girateli delicatamente con un cucchiaio per alcuni minuti sul fuoco basso fino a far ben insaporire il tutto.

 Prelevate con un grosso cucchiaio gli struffoli dalla pentola e versateli sul vassoio lasciando il limone al centro ciò vi permetterà di ottenere la classica forma col buco al centro ed un leggerissimo retrogusto di limone che darà ai vostri struffoli un sapore unico (credetemi).

 A tale scopo, prima che raffreddino strofinate le vostre mani sempre con lo stesso limone

 e comprimete leggermente gli struffoli per dare forma e sapore al tutto. Cospargete ora il tutto con i confetti: 'e riavulill (i diavoletti: piccoli confettini multicolore), i cannellini (a Napoli chiamiamo così quei confetti bianchi che hanno nell'anima un pò di cannella) e quelli argentati (dovreste aggiungere anche piccoli pezzi di frutta candita ma a noi non piacciono perciò non li vedrete nella foto). 

Quando il tutto sarà freddo eliminate il mezzo limone dal centro e...... voilà!! Aspettate il giorno dopo per mangiarli..... se ce la fate!
Aforisma di proverbio napoletano: "Cu n'uocchio guarda a jatta e cu n'ate frje 'o pesce" (Un occhio al gatto e uno al pesce, quando friggi) 

venerdì 4 dicembre 2009

I paccheri con la ricotta


 Ed eccoci ad un'altra ricetta tipica della cucina partenopea. Nella ricetta della "Genovese" vi ho già raccontato l'etimologia di alcuni tipi di pasta, tra cui appunto i "paccheri". Perciò non la farò troppo lunga e passerò subito a descrivervi questa ricetta semplice, buona e, credo, anche non troppo calorica.
Ingredienti
350 gr di paccheri
250 gr di ricotta
sugo (oppure ragù)

Procedimento
Preparate un buon ragù oppure un sugo semplice con cipolla e basilico. In una zuppiera stemperate la ricotta con un paio di cucchiai di sugo.

Cuocete la pasta al dente, mescolatela al composto ottenuto 

e servite nei piatti cospargendo con altro sugo.
Aforisma di proverbio napoletano:  "Chi cagna 'a via vecchia p' 'a nova sape chello ca lassa e no chello ca trova". (Chi lascia la strada vecchia per la nuova, sa ciò che lascia ma non ciò che incontra).

Il Pomodorino del Piennolo del Vesuvio DOP

Il pomodoro è un alleato prezioso per la salute: è considerato fondamentale per una corretta alimentazione in quanto povero di grassi,  ricco di vitamine,  sali minerali e licopene: un potente antiossidante naturale che ha effetti positivi sul cuore, sulle arterie, sulla digestione, sull'intestino e sulla pelle aiutandola a proteggersi dall'attacco dei radicali liberi, responsabili dei processi di invecchiamento e di molte patologie tumorali. Il caratterstico colore rosso del frutto è proprio indice della presenza del licopene, ma anche del betacarotene: stimolante della melanina che favorisce l'abbronzatura. Per finire, il pomodoro ha un'azione rinfrescante, dissetante e diuretica.


Un pomodoro noto in tutto il mondo è il Pomodoro San Marzano, imitato con scarsi risultati, è considerato il "pomodoro per eccellenza" ed è riconosciuto come uno dei massimi artefici del successo della dieta mediterranea. Si narra che il primo seme di San Marzano sia giunto in Italia verso il 1770, come dono del regno di Perù al Regno di Napoli. Da più di due secoli è il simbolo della cucina partenopea ed ingrediente base per i suoi piatti tipici; il sugo che si ottiene resta piacevolmente invischiato alla pasta. 


Dal mese di novembre, l'Italia può fregiarsi di un nuovo prodotto DOP: il Pomodorino del Piennolo Vesuviano. Quando fu presentata la richiesta di registrazione della denominazione "Pomodorino del Piennolo del Vesuvio Dop", il ministro delle politiche agricole e forestali Luca Zaia commentò: "Il pomodorino del Piennolo del Vesuvio, si lega indissolubilmente al territorio della provincia di Napoli, dove da secoli questo tipico prodotto campano si coltiva  con le stesse tecniche colturali, eseguite quasi interamente a mano e tramandate negli anni da padre in figlio".
Detto pomodorino rappresenta una delle produzioni più antiche e tipiche dell'area vesuviana. Le prime testimonanze documentate e tecnicamente dettagliate risalgono alle pubblicazioni della Regia Scuola Superiore di Agricoltura di Portici nel 1885; anche l'usanza di riprodurli nel presepe la dice lunga sull'antichità del prodotto. Esso viene coltivato nel Parco Nazionale del Vesuvio, su piccoli appezzamenti di terreni impervi situati tra i 150 ed i 450 metri sul livello del mare. In assenza di irrigazione, trae i massimi benefici dal terreno vulcanico e da un sole quanto mai generoso: le colate laviche stratificate nei secoli si sono trasformate in terreni scuri, sabbiosi e fertili, ricchi di potassio, zolfo, fosforo e calcio. Nell'immaginario locale, il marcato colore rosso delle bacche, sono un regalo del sole e del Vesuvio perchè le radici attingono nutrimento dalla stessa lava del vulcano. I frutti sono di forma ovale allungata, lievemente a pera o a cuore e presentano un piccolo pizzo all'estremità inferiore. I pomodorini del vesuvio sono detti "piennoli" (pendoli) sia per la tradizione tecnica di raccoglierli a grappoli che per il fatto che vengono conservati appesi alle pareti o alle soffitte, in locali asciutti e ventilati. 
Quello che vedete qui in basso è "piennolo" che ho fuori al balcone di casa mia


La buccia è spessa, la polpa è soda e compatta dal sapore piacevolmente dolce e sapido (grazie alla concentrazione di zuccheri e sali minerali) ma nche leggermente amaro ed a basso contenuto di acqua. La conservazione viene effettuata, come già accennato, secondo l'antica tradizione dei contadini vesuviani, in "piennoli": grappoli, detti "schiocche", raccolti tra luglio e agosto prima della loro completa maturazione e sistemati su di un filo di canapa legato a cerchio (che ha la funzione di assorbire l'umidità all'interno), dove appassiranno leggermente ma conservandosi freschi per tutto l'inverno. 
Su youtube ho trovato un video fantastico che è più esplicativo di mille parole: vi basterà cliccare qui per vederlo.

Forse vi starete chiedendo come sia possibile che si conservi così a lungo: La tecnica di raccolta in grappoli, belli e decorativi a vedersi, oltre ad offrire la possibilità di attingere singoli pomodorini garantisce una lunga conservazione dovuta anche al fatto che le piante sono coltivate "in asciutta" e, la buccia piuttosto spessa ne limita la disidratazione. Non fatevi ingannare dall'aspetto un pò raggrinzito: il sapore ed il profumo diventano più intensi col passare del tempo (man mano che i pomodori asciugano e la concentrazione aumenta).

Il Pomodorino del Piennolo vi stregherà al primo "incontro": è saporito, di breve cottura e rilascia poca acqua; da sempre ha costituito il veloce spuntino di mezza mattinata dei contadini nei campi: un pomodoro "schiattato" (schiacciato) sul pane, un filo d'olio, sale e basilico; si presta sia alla cucina di mare che a quella di terra; è straordinario nella cucina di piatti veloci (napoletani e non) come la pizzaiola (cliccate qui), spaghetti alle vongole fujute (cliccate qui), preparazioni con il pesce, bruschette.......Pur non essendo utilizzato dai pizzaioli napoletani a causa del costo elevato (dovuto: alla bassa resa, al metodo di coltivazione ed alla lavorazione post-raccolta che richiede una grossa disponibilità di mano d'opera) sappiate che regala alla pizza un sapore straordinario e, mangiato da solo su di un pezzo di pane vi evocherà ricordi di mare....... di terra ..... di Napoli!

mercoledì 2 dicembre 2009

Zuppa di lenticchie ed informazioni sui legumi

Una ottima zuppa da servire molto calda nel periodo invernale e tiepida in primavera evitando, ovviamente, di usare: il peperoncino, le cotiche, la salsiccia e similari.

Ingredienti per 4/5 persone

250 gr di lenticchie
(potete usare un solo legume oppure un misto di legumi secchi)
1 patata
1 cipolla
1 carota
1 spicchio di aglio
scegliete tra: prosciutto cotto, cotiche, pancetta, zampino di maiale, una salsiccetta
mezzo bicchiere di vino bianco o rosso
sale q.b.
peperoncino (facoltativo)


Procedimento
Lasciate a bagno i legumi secondo istruzioni riportate sulla scatola. In una pentola, possibilmente di coccio), fate imbiondire nell'olio: aglio, patata, cipolla e carota a pezzetti (se vi piace aggiungete anche della salvia).

Aggiungete i legumi sgocciolati, fate insaporire e sfumate col vino. 

Coprite il tutto con l'acqua,aggiustate di sale e portate ad ebollizione aggiungendo anche il salume prescelto tagliato a pezzi grossi. 
 
Lasciate cuocere a fuoco lento per 1,5 ore abbondanti (per i tempi potete anche rifarvi a quanto riportato sulla scatola dei legumi secchi). A questo punto, se vi piace, aggiungete il peperoncino e servite nei piatti da zuppa nei quali avrete già posizionato del pane bruschettato. Cospargete con un filo di olio crudo e, se piace, pecorino grattato.
Con questa stessa ricetta ho preparato anche pasta e lenticchie.

Aforisma di proverbio napoletano: "'O pazzo fa 'a festa e 'o savio s' 'a gode". (Il pazzo fa la festa e il saggio se la gode).

Due paroline sui legumi:
tutti conosciamo gli effetti benefici dei legumi ma spero di farvi cosa gradita nel darvi alcune notizie utili.
I legumi sono: il fagiolo, l'arachide, la soia, il cece, il pisello, il lupino, la lenticchia, la veccia e la cicerchia.
Curiosità:
- il cece è tra i legumi più digeribili poichè stimola i succhi gastrici ed il pancreas. Rchiede un ammollo di circa 24 ore prima della cottura che dura non meno di 3 ore;
- le fave fresche, sgusciate, sono l'unico legume privo di grassi, ma ricco di: proteine, fibre, ferro e fosforo;
-  i piselli sono tra i legumi meno calorici seppure caratterizzati da un elevato tasso di zuccheri semplici (da cui il sapore dolciastro);
- i lupini sono conosciuti come cibo "povero" per l'elevato potere nutrizionale;
- la soia può aiutare a ridurre i disturbi femminili legati alla menopausa ed a prevenire il cancro al seno. Studi americani recenti ci dicono che questo alimento aiuta anche l'organismo maschile: digerendo la soia  si produce una molecola, l'EQUOL, capace di inibire l'azione dell'ormone maschile, Dht, coinvolto nella crescita della prostata, causa di tumori e calvizie. Aggiungendo quindi quotidianamente, ad una alimentazione già povera di grassi saturi e colesterolo la proteina della soia, sarebbe possibile diminuire il rischio di malattie coronariche, di tumore alla mammella ed alla prostata e la calvizie.

I legumi in scatola non perdono il loro valore proteico ma conservano circa la metà del loro contenuto di vitamina C, salvo i piselli in scatola che vengono essiccati prima di essere inscatolati (nei piselli surgelati il contenuto di vitamina C scende a circa 1/4).

UNA FONTE PROTEICA SENZA COLETEROLO
Quasi tutti i cibi più ricchi di proteine (carne, latticini, uova) sono anche ricchi di colesterolo: fanno eccezione diversi tipi di pesce.

I legumi sono una fonte proteica ed energetica valida e completamente priva di colesterolo: offrono proteine di valore discreto, che aumentano se consumati insieme ai carboidrati (pasta e fagioli, riso e lenticchie....). Il consumo consigliato è di almeno due porzioni alla settimana, ma può essere aumentato a piacere, perchè non hanno rilevanti controindicazioni. Sono ricchi di fibra, il che aiuta il regolare funzionamento dell'intestino, e di vitamine del gruppo B, ferro, zinco, calcio..... I legumi contengono elevate quantità di minerali e vitamine resistenti al calore, che non vengono quindi distrutte dalla cottura. Quelli secchi possono subire l'ammollo in acqua fredda, prima della lessatura: ricordate di sciacquarli in acqua abbondante in quanto l'assorbono fino raddoppiare o triplicare il loro volume. Per rendere più veloce l'operazione di "ammollatura" (evitando quindi di tenerli a bagno tutta la notte) fate così: portateli ad ebollizione  in acqua abbondante e lasciateli bollire energicamente per 3-5 minuti, poi fateli riposare nell'acqua un'ora. Toglieteli dall'acqua e risciacquate ancora. Alcune vitamine andranno perse durante l'ammollo. Ora rimettete i legumi in un tegame coperti con acqua abbondante e portate ad ebollizione. Ricordate che i legumi vanno salati soltanto alla fine in quanto il sale indurisce il rivestimento  esterno e la cottura richiederà più tempo.

Tempi di cottura: 1 ora per la cicerchia, 40 min i fagioli cannellini e 20 min le lenticchie.

venerdì 27 novembre 2009

Sasicce e friariell' (Salsicce e friarielli)

I friarielli: storia e poesia di un ortaggio.
Ai tempi della povertà e quindi della fame, le napoletane si affollavano sotto le cucine dei nobli, dove i "monsù" (cuochi francesi) erano soliti "elargire" alla plebe gli avanzi (a volte addirittura i rifiuti) della cucina che generalmente consitevano nelle interiora di animali: in francese "les entrailles". Con questo termine, divenuto in napoletano "zandraglie" venivano chiamate le popolane che si affollavano ed azzuffavano nel tentativo di accaparrarsi qualsiasi cosa pur di sfamare la famiglia. I napoletani, non potendo ricorrere sempre a questo "stratagemma" per sfamarsi, cominciarono ad interessarsi ai prodotti della terra, tra cui: le cime di rapa (broccoletti). Detti broccoletti erano diffusi in quasi tutta l'Italia, ma in particolar modo al sud dove denivano cotti nelle maniere più disparate. Soltanto a Napoli, però, i broccoletti venivano fritti: una trovata geniale e creativa in quanto il popolo, per rendere l'insignificante ortaggio più calorico ed energetico, pensò di friggerlo in una consistente porzione di "nzogna" (sugna: strutto). Ciò detto, vi pregherei di non cercare di italianizzare il nome dell'ortaggio chiamandoli "friggerelli" o "friggitelli" o altro... e di non confonderli con i peperoncini verdi che, pur essendo anch'essi fritti e molto buoni da mangiare, sono tutt'altra cosa. Eppure capita non di rado che chiedendo dei friarielli, in ristoranti situati anche di poco fuori Napoli, vi presentino, appunto, dei peperoncini verdi. I friarielli sono dunque un piatto nobile dalle radici proletarie, così fortemente napoletani che trovarli fuori città è quasi impossibile.La radice del nome "friarielli" è greca e, durante la dominazione francese il termine si è rafforzato: i francesi hanno la frittura in tale considerazione che buongustaio si dice "frison".

L'acquisto: badate che il fruttivendolo non vi dia friarielli troppo fioriti. I fiorellini non devono essere aperti e si devono appena appena vedere. Le foglie non devono essere troppo grandi, giallognole e mosce.

La mondatura: non è cosa facile da spiegare in quanto è un procedimento che i napoletani apprendono di generazione in generazione osservando l'operato degli anziani: io l'ho appreso osservando mia madre e lei da mia nonna. Come "lume" posso dirvi che dovete eliminare tutte le foglie grandi e brutte ed i gambi troppo grossi e stopposi; bisogna tenere, invece, le preziosissime cimette (sono quelle che danno sapore al piatto) , le foglie tenere e la parte più tenera del gambo (quindi poco..... ma non troppo poco!!).

Cottura: lo dice la parola: "friariello" (da "frjere"  cioè "friggere"), ma non è così semplice come sembra! I napoletani sembrano "nati per soffriggere e/o friggere", ma riuscire "nell'impresa" di tramutare un broccolo in frieriello non è da tutti: il risultato dovrà essere un sapore dal retrogusto amarognolo ma non troppo. Lo so che vi sembra eccessivo ciò che dico ma la "genialità" in cucina sta nelle cose semplici. 
I friarielli si "sposano" bene con i latticini, ma la "morte loro" è  con le salsicce. E' proprio questo il piatto che vado a proporvi.
Procedimento
Mettete le salsicce in padella con l'olio e bucatele con la forchetta.

Fatele rosolare a fuoco vivo girandole di tanto in tanto ed aggiungendo vino bianco nel caso in cui il sugo, durante questa fase, dovesse asciugare troppo. Una volta rosolate, aggiungete un pò d'acqua e proseguite nella cottura. In un'altra padella soffriggete in abbondante olio evo (che oggi ha degnamente sostituito lo strutto), l'aglio ed il peperoncino. Aggiungete i friarielli precedentemente mondati (come descritto più sopra) e lavati, senza sgocciolarli troppo.

Chiudete col coperchio, ed aiutandovi con esso, mantenete nella padella la verdura che altrimenti fuoriuscirebbe dalla stessa. 

Poco alla volta il volume della verdura ridurrà e riuscirete a chiudere per bene la padella col suo coperchio; girateli spesso affinchè non attacchino al fondo della padella: diventerebbero troppo amari! Quando i friarielli si saranno ben ridotti, ed i gambi saranno morbidi ma NON disfatti, saranno pronti. A cottura quasi ultimata, scoperchiate ed aggiustate di sale. Uniteli alla salsiccia negli ultimi dieci minuti di cottura delle stesse.


I friarielli sono ottimi sia caldi che freddi e se li metterete in mezzo al pane o dentro una focaccia..... saranno una goduria!!


Note: dato che i friarielli sono un pochino amarognoli, quando voglio farli mangiare anche ai bambini, li passo un attimo nell'acqua bollente salata prima di friggerli in padella......... ma un tradizionalista non lo farebbe MAI!!
Aforisma di proverbio napoletano: "Datte da fà: 'a jurnata è 'nu muòrzo". (Datti da fare, la giornata è un boccone).

giovedì 26 novembre 2009

Focaccia con la scarola e focaccia con le cipolle


Della pizza con la scarola vi ho già parlato in una ricetta precedente ('e pizzell ca' scarola). Oggi vi propongo l'impasto per la focaccia della mia amica Anna: anche se per me la focaccia è altra cosa, devo ammettere che questa ricetta mi lascia stupita per la sofficità del risultato e per il fatto che essa mantiene la sua morbidezza per almeno 3 - 4 giorni. Per la preparazione della scarola cliccate qui. Per la focaccia ho apportato qualche piccola modifica all'originale tenendo conto anche di quanto scritto da "chiccuccia" sul suo album di alf in quanto, a sua volta aveva provato a farla e, ne era rimasta entusiasta! (Chiccù ne approfitto per salutarVi - plurale maestatis - entrambi: te ed il tuo gadduzzo).
Ingredienti
800 gr. di farina "0"
200 gr. di farina manitoba
(ma potete anche usare solo farina "00")
un cubetto di lievito
un bicchiere scarso di olio evo
600/700 ml di acqua
1 cucchiaio raso di sale
1 cucchiaio scarso di zucchero.

Procedimento
In una ciotola capiente sciogliete il lievito e lo zucchero con parte dell'acqua calda ma NON bollente, aggiungete la farina e l'acqua alternandole, a metà "dell'opera" aggiungete anche il sale e l'olio, continuate sino ad esaurire tutta la farina e l'acqua: dovendo ottenere un impasto bello morbido, se ce ne fosse bisogno aggiungete ancora acqua. Lasciate lievitare al caldo l'impasto per almeno 1 ora. Oliate una teglia, adatta alla focaccia, eliminando l'olio in eccesso con un foglio tipo scottex. Con le mani unte e/o bagnate, staccate un pezzo di impasto sufficiente a coprire la teglia (stendetela con le mani direttamente nella teglia: non troppo sottile, ma neppure troppo spessa perchè crescerà) e, lasciando i bordi liberi di 1 - 2 cm., riempite con la scarola. Sigillate bene per non far fuoriuscire la verdura e non preoccupatevi se i pezzi che prelevate per la stesura sono troppo grandi o troppo piccoli: questa pasta si presta ad essere modellata come la plastilina.Ungete la superficie della focaccia e bucherellatela con i rebbi della forchetta. Infornate a 200° (o poco più) per 5 min. nella parte bassa del forno e poi altri 20 min. nella parte centrale. Quando la vedrete bella dorata anche di sotto sarà pronta.

Appena fuori dal forno, avvolgete la focaccia con la sua teglia in un canovaccio umido per almeno 20 minuti.

Focaccia con la cipolla
 Per la cottura della cipolla Anna mi ha suggerito di fare così: pelate e tagliate a fettine 1 Kg di cipolle bianche. In una casseruola fate disfare in mezzo bicchiere di olio un vasetto di acciughe (90 gr.), aggiungete 250 gr di olive nere, poco pelato (giusto per dare colore) e tre cucchiai abbondanti di capperi dissalati. Fate insaporire, aggiungete le cipolle e, sempre mescolando, aggiungete un pò di sale e pepe. Fate appassire, aggiungete i pelati, schiacciateli con la forchetta e fate cuocere a fuoco lento girando di tanto in tanto (se fosse necessario aggiungete acqua). Aggiungete a piacere qualche foglia di basilico. Una volta raffreddate le cipolle, riempite la focaccia avendo cura di inserire la verdura senza troppo liquido.



martedì 24 novembre 2009

Frittata di patate


Ho due versioni per questa ricetta: al forno e fritta.
Ingredienti
per la frittata al forno:
1 Kg di patate (circa 6 patate medie)

potete usare quelle avanzate già cotte oppure crude e tagliate a pezzettini (come per la pasta e patate) o fettine non troppo sottili
8 uova
2 - 3 cucchiaini di sale
2 cucchiai circa di farina
spezie (quelle che amate di più)
due belle manciate di parmigiano
pepe q.b.


Procedimento
in una ciotola battete le uova con il sale, il pepe, la farina (attenzione ai grumi), le spezie (prezzemolo, rosmarino, timo....) ed il pamigiano. Unite anche le patate. Ungete o foderate con la carta apposita una teglia e versatevi il composto, spolverizzate con ABBONDANTE  parmigiano e cuocete in forno a 180° per circa 30 min (deve essere bella dorata). Se volete servirla per un buffet non fatela troppo alta, lasciate che intiepidisca, tagliatela a quadrotti ed infilzate ogni quadratino con uno stuzzicadenti.


Frittata di patate 
(simile alla tortillas spagnola)
Ingredienti
1 Kg di patate
4 uova

1,5 bicchieri di latte
parmigiano e pecorino
sale e pepe q.b.


Procedimento
Tagliate le patate in piccoli pezzi e metteteli in un pentolino con il latte, un pizzico di sale, una bella manciata di parmigiano e pecorino, il pepe, un filino di olio e basilico. Fate cuocere coperto per 10 min., togliete il coperchio e fate asciugare il tutto, a fuoco vivo, girando spesso con il cucchiaio di legno (se asciuga, ma non è ancora cotto aggiungete ancora latte). Battete le uova con il sale e MOLTO formaggio ed amalgamate il composto con le patate. Cospargete d'olio il fondo di una padella (o di una tortiera), quando sarà BEN caldo versateci il composto e fate friggere per 2 - 3 minuti, abbassate la fiamma ma continuate a friggere. Con l'aiuto di una forchetta sollevate i bordi, controllate se è "bionda" e giratela per cuocerla anche dall'altro lato. Controllate che sia cotta anche al centro.


Proverbio napoletano : "Cagnano e' musicanti, ma a museca nun cagna mai" (Cambiano i musici ma la musica non cambia mai).

Genovese


Cominciamo subito col dire che a Napoli per "Genovese" si intende "Il Sugo alla Genovese" e cioè una salsa ottenuta cuocendo a fuoco lentissimo cipolle e carne. Come forse già saprete il Re della cucina partenopea è, appunto, sua maestà il ragù, la sua Regina è invece la Genovese. Questo è un piatto di sicuro successo che piace generalmente a tutti: dai gourmet a chi ama la tradizione, dai bambini a gli adulti......... anche chi non ama la cipolla ne mangia in quantità (tra questi mio figlio!!). Essendo un piatto della tradizione napoletana, spesso mi si chiede l'origine dell'aggettivo "genovese": introdurrò quindi con un pò di storia sull'origine del piatto e sulla scelta degli ingredienti, se ciò vi annoiasse passate subito alla lettura degli ingredienti.
Di ipotesi e supposizioni sull'origine del nome di questo piatto se ne sono fatte tante, per non annoiarvi ve ne riporterò soltanto un paio. Si parla di ristoratori genovesi che nel porto di Napoli, nel periodo aragonese (XV secolo), cuocevano carne con la cipolla a cui i napoletani avrebbero poi aggiunto la pasta. Ma di questa preparazione non c'è traccia seria o comunque diffusa in Liguria. Nulla a che vedere quindi con la città della Lanterna, questo tipico piatto della tradizione napoletana, viene menzionato da Ippolito Cavalcanti, duca di Buonvicino, nobile napoletano con l'hobby della cucina, nella sua opera "Cucina teorico pratica" del 1837; ma se ne parla anche  nel 1832 ne la "Cucina Napoletana" (opera di Vincenzo Corrado)............ Quale che sia la verità non è dato sapere. Probabilmente l'immensa e variegata tradizione culinaria napoletana divisa tra i fasti della cucina aristocratica e quella più semplice e genuina delle classi popolari, abbinata alla creatività del popolo napoletano, ha fatto sì che sia stata accumunata la "nobile" carne alla "povera" cipolla dando luogo a questo succulento piatto che (parafrasando Luciano De Crescenzo) " Dio solo sa perchè, pur essendo un piatto napoletano, si chiama genovese".
Vi dico subito che non esiste una ricetta "precisa" per la realizzazione di questo piatto (come peraltro avviene per tutti i piatti della tradizione napoletana: ragù, pastiera.....) in quanto ogni famiglia napoletana ha un suo "segreto": il napoletano verace è poco propenso a restare imbrigliato negli schemi senza dare sfogo ad un minimo di fantasia personale. Le "variabili" consistono essenzialmente sul quantitativo di cipolla utilizzato, la scelta della carne, l'utilizzo dell'olio o della sugna (strutto), il pomodoro, il vino, aromi, lardo, ventresca e similari. Per non "perderci" nella ricetta vi dirò che gli ingredienti fondamentali sono: la cipolla, la carne e la pasta.
La cipolla: considerata l'enorme quantità di questo ingrediente nella ricetta, capirete bene l'importanza che assume la qualità della stessa per la realizzazione del piatto. Vi raccomando di NON utilizzare quella bianca e men che meno quella fresca. Fate cadere la scelta su quella dorata: il non plus ultra sarebbe quella Ramata di Montoro (AV).
La carne: come già vi ho raccontato, Napoli non ha una grande tradizione di carne in quanto ai "tempi della fame" era troppo poca e difficile da trovare. Per questo i piatti più saporiti come il ragù e la genovese si preparavano con le parti meno nobili dell'animale, ma i nobili (i ricchi) usavano il primo taglio di Annecchia (giovenca). Il pezzo più usato, quindi,  è il "lacierto" (lacerto), conosciuto ai più col nome di "girello" è una carne di II categoria; al secondo posto c'è la "cularda" (colarda), è una carne di I taglio, conosciuta con i nomi: scamone, rosa, culata, culaccio... (ogni regione ha un suo nome); infine c'è  il "gammunciello" (gamboncello), è una carne di III categoria conosciuta come muscolo (di manzo) della zampa anteriore o posteriore ( che è più grande) in ambo i casi è situato nella zona superiore della gamba ed ha molte fibre nervose e tendini. Se si userà  questo ultimo tipo di taglio (che è quello da me preferito) il sugo sarà molto più saporito e cremoso, se invece si useranno le parti più pregiate del quarto posteriore si otterrà della carne migliore da mangiare ma a scapito del sugo che sarà meno saporito.
La pasta: la tradizione vuole l'uso degli "ziti" rigorosamente spezzati a mano in quanto i pezzetti di pasta che cadono nella pentola, durante questa operazione, contribuiscono ad amalgamare ancora di più tutto il piatto.  Gli "ziti" anticamente "zite", o "maccheroni della zita" perchè di solito venivano imbanditi per il pranzo di nozze della sposa, a Napoli "zita". Ancora più grossi e perciò più pregiati gli "zitoni" detti 'da matrimonio'. In ogni caso utilizzate la pasta doppia: penne, candele, maltagliati, mezzani, paccheri..... NON usate pasta fresca!! La mia scelta, questa volta, è caduta sui "paccheri" che un tempo era la pasta dei poveri: causa la grandezza della stessa, ne bastavano pochi per riempire un piatto. "Paccheri" in napoletano vuol dire schiaffoni, come un colpo ben assestato a mano aperta evocato anche dal rumore che fanno quando vengono mischiati nella zuppiera pieni di salsa. L'etimologia di questa parola si fa risalire al greco pan = tutto e keir = mano per indicare appunto il colpo pieno e rumoroso assstato con tutta la mano aperta.
Vi riporto qui di seguito le due ricette di casa mia. La prima ho ragione di credere che sia di mia nonna in quanto l'ho trovata nel libro di cucina ereditato da mia madre che era solita attenersi alle ricette della nonna; la seconda è una mia versione (spero "degna" della prima) che ha la pretesa di coniugare l'antico al moderno.
La ricetta di mammà
Ingredienti per 4 persone
1/2 Kg di carne (leggi la premessa)
1/2 Kg di cipolle (leggi la premessa)
un rametto di sedano, carota, prezzemolo e sale q.b.
1 pomodorino
("profanando" la ricetta della nonna, generalmente aggiungo anche una scatoletta di pancetta affumicata)


Procedimento
Affettate grossolanamente le cipolle e mettetele a bagno 20 minuti in acqua e sale. In una pentola, possibilmente di coccio, fate rosolare la carne (e, se volete, la pancetta) con due misurini (o poco più) di olio in modo tale che ceda un pò dei suoi umori. Aggiungere le cipolle scolate, la carota, il pomodorino, il sedano ed il prezzemolo tritati. 

Coprite e lasciate cuocere a fuoco bassissimo: la genovese richiede molto tempo, dedizione e passione.... il sugo deve "peppiare" (alcune parole napoletane sono difficili da tradurre, diciamo che deve sobbollire) per molte ore (circa 3), mescolando di tanto in tanto fino a quando la carne trasferisce tutto il suo umore e sentimento alla salsa. Solo l'esperienza aiuterà a capire il momento giusto: di sicuro la carne risultarà "sfruttata" e le cipolle diventeranno un sugo cremoso, vellutato e dal colore marroncino-ambrato. Dopo le tre ore di cottura, eventualmente non si fosse raggiunto il risultato sperato, è possibile togliere la carne e far restringere il sugo al punto giusto. Condite con questa salsa la pasta prescelta (vedi premessa) e spolverate abbondantemente, e possibilmente, con caciocavallo o pecorino. La carne andrà servita a parte, come seconda portata, ricoperta dal sugo. (Avendo soffritto prima la carne e poi aggiunto le verdure, otterrete una carne morbida e saporita da mangiare come secondo piatto; nella seconda ricetta riportata più in basso, invece, cuocendo tutti gli ingredienti insieme la salsa sarà più gustosa).


Seconda ricetta
Ingredienti
1 Kg di carne di I taglio (intero e legato)
2 coste grandi di sedano
2 carote
1 Kg di cipolle
50 gr di prosciutto crudo (la parte finale del salume, i cosiddetti "resti di banco")
50 gr di pancetta
4 pomodori
1 bicchiere di vino rosso
1 bicchiere di olio
sale q.b.


Procedimento
In una pentola alta e capiente adagiate la carne e tutti gli ingredienti (le verdure tagliate grossolanamente), coprite e fate cuocere a fuoco lento per 1 ora. Rimuovete temporaneamente la carne e restringete il sugo pestando con la forchetta le verdure.
Servite la pasta cospargendo con molto parmigiano.


Note: nei miei ricordi di bambina la pasta veniva condita col sugo in una zuppiera da cui ognuno attingeva a piacere, si aggiungeva poi altro formaggio e/o sugo (servito con l'apposta salsiera): un rituale magico, tutto napoletano, che univa e rassicurava tutta la famiglia (un piatto da consumare, quindi, sempre con le persone giuste). Una cosa che a volte faccio, ma che un tradizionalista NON farebbe mai, è quella di frullare o passare le cipolle a cottura avvenuta: ciò rende il tutto più cremoso e vellutato (oltre che gradevole e fuorviante a chi non ama la cipolla) ma sicuramente meno casereccio il piatto.

Proverbio napoletano: "Addò magnano ruie, ponno magnià pure tre". (Dove mangiano due possono mangiare anche tre).

Girelle di pancarrè


Un antipasto veloce, di sicuro effetto che piacerà a tutti. Comprate del pane per tramezzini, schiacciatelo leggermente col matterello, spalmate e farcite con creme e salumi di vostro gradimento. Arrotolate tutto cominciando dal lato corto, avvolgete nella pellicola come fosse una caramella e mettete in frigo per almeno un paio d'ore. Liberate i "salsicciotti" dalla pellicola, tagliateli allo spessore di almeno 1 cm. e sistemate le girelle in bella mostra su di un vassoio.L'operazione di taglio è la cosa più "difficile" da fare, occorre farlo con delicatezza (se possedete un'affettatrice o un coltello elettrico la riuscita sarà assicurata).
Note: per il ripieno ho utilizzato philadelphia e salmone, ma potete sbizzarrirvi come più vi piace: tutti i formaggi spalmabili, maionese, burro, patè.... Per la farcia: salame, prosciutto, speck.......

Proverbio napoletano: "A chi te dice e fatte 'ell'ate nun dicere e fatte tuoi" (Non dire i fatti tuoi a chi dice quelli degli altri).

Cannoncini tricolore

Quando abbiamo voglia di un secondo ed un contorno veloce ma buono, non dobbiamo ricorrere per forza ai salumi, procuratevi questi
ingredienti:
fettine da carpaccio
carote
scamorza affumicata
spinaci (magari una busta pronta)
rosmarino

Procedimento
su ogni fettina di carpaccio (potete usare anche fettine sottili battute) adagiate una foglia di spinaci o bietola, un bastincino di carota ed uno di scamorza 

ed arrotolate dal  lato corto. 

Scaldate un filo di olio in padella con un aglio in camicia leggermente schiacciato ed un bel rametto di rosmarino, 

aggiungete i cannoncini e cuoceteli una decina di minuti aggiustando di sale. 


Eliminate la carne dalla pentola e tenetela in  caldo.

Gettate gli spinaci, senza sgocciolarli troppo, nella stessa padella della carne e lasciateli saltare qualche minuto. Servite i cannoncini cospargendo gli spinaci sugli stessi.

Proverbio napoletano: "Meglio pane e cepolle a' casa soja, ca galline e cunfiette a' casa 'e ll'ate". (Meglio pane e cipolla a casa propria che galline e confetti in casa altrui).
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